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CatalogoTOM HUBER Walk Through ElkoSpezialmaterial 2011 / distr. Rare Mummy Music 2012; digipack; 11 tracce audio, 39’; 10 euroGet the Flash Player to see this player.
Così, per gioco, prendi il cliché del grungie, camicia di flanella e tutto, e prova a piazzarlo sotto il sole freddo, il paesaggio terso, le api e l’umanità diradata delle Prealpi svizzere. Siamo a una trottata da Zurigo e tutto parla di una natura incorrotta, dove il bipede più zozzone del regno animale non è arrivato a mettere il suo urbanistico zampino. Si respira un freddo effervescente. La flanella torna buona anche se fuori tempo massimo. Nemmeno il ricordo del grunge scalda più come prima, allora bisogna pestarlo insieme al country da film western, se non altro per rimanere sulle longitudini oltre-atlantiche. Senza però scordare – come spezia per niente segreta ma che fa frizzare il mortaio – ciò che distingue queste lande da quelle: un soffio di synth. La ricetta per questo intingolo invernale è servita. Scende la notte e il nostro montanaro incamiciato a quadrettoni rinuncia a mettere il muso fuori di casa. Non è che preferisca il camino, o che tema i pericoli della natura immersa nell’oscurità. Anche fra le sue quattro calde mura, il suo mondo è oscuro e confuso. Tom Huber gioca a fare il bel tenebroso, col fisico da maschiaccio del grande schermo, e gioca con gli stili e i cliché. Armonizza senz’esuberanze una voce grossa e ordinata, dalle sfumature ora minacciose ora malinconiche: il fascino della frugalità. L’aureo principio della riduzione all’osso impregna anche la sua musica, un post-grunge-minimal-country dalle tinte fosche, con vere e proprie citazioni a Woven Hand, ma palesemente inzuppato d’ironia (svizzera) e sorretto da un’attitudine pop che demistifica quelle stesse influenze westerneggianti che, sulle prime, sembravano intoccabili modelli di riferimento. Qua e là drum machine e tappeti ambient-dark. Ammiccanti chitarre country-rock che fuoriescono all’improvviso dai fumi sintetici. Ti eri quasi convinto di essere nel Nord Dakota? Una fisa finta. Un clarinetto di legno vero. Intermezzi strumentali a ricordare che l’inquietudine ha bisogno di gran silenzi. E una decina di storie di vita alpestre, disturbanti per rapidi accenni, dove l’essenzialità può prendere la forma di un incendio doloso, di un toast al prosciutto quando hai perso ogni cosa, di una pecora isterica, e isterico lo diventi anche tu. Per farla breve: un disco senza eccessi. Però illuminato dalla grazia del poco. E Tom Huber, la sua scelta, l’ha fatta e la dichiara senza voler fare la lezione a nessuno: restarsene in groppa al suo cavallo. |