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RUBY HOWL Heaven Hides There Too

Out of Round 2011 / distr. Rare Mummy Music 2012; digifile, 9 tracce, 39’; 10 euro

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Nella tradizione americana non è insolito che due coniugi dediti al vizietto della musica si facciano la propria band a conduzione familiare. (Che forse snerva meno di uno strizzacervelli di coppia o un matrimonialista, ma di sicuro costa meno di entrambi.) Ora dovrebbe seguire il vivace elenco, ma questo non è un programma di Fazio e Saviano. Resta il fatto che coi Ruby Howl siamo in presenza di una delle più coese, affiatate, energiche famigliole dedite a quel vizietto. Nel 2008, con The Wind and the Tiger, si raggrumavano per la prima volta le esperienze banjo-noir di Patrick Kadyk (Hazy Loper, The Darklings) e quelle alt_rock della moglie Laurie Hall (Knife & Fork, The Hallflowers, Ovarian Trolley), che prontamente schiudevano l'alcova alla di lei sorella, Jennifer, altro personaggino, uno schianto di ordinaria follia. Con Heaven Hides There Too i livelli di compenetrazione artistica hanno raggiunto il grado più alto. Tutti cantano, lui&lei suonano le corde, la sorella-cognata canta e smazzuola pure. L'unico a non darci d'ugola è anche il solo a non condividere tanto bendidio di sangue e di letto, Eric Drew Feldman, parente semmai acquisito dalla lunga collaborazione con Laurie e che qui suona il basso, spicciola tastiere e produce il tutto. Qualcuno lo ricorderà per aver esordito con Captain Beefheart, suonato coi Pixies e Pere Ubu, prodotto i Deus, collaborato con Pj Harvey, Sparklehorse, Frank Black, ma coi Ruby Howl si fa discreto e pressochè incorporeo. E poi non canta nemmeno. Anche perchè pare che per scrivere i loro pezzi i Ruby Howl partano proprio dalle voci: dagli ululati a tre teste, dalle facce diverse e finemente intagliate di questo rubino sepolto della scena statunitense contemporanea. Una pietra difficile da collocare fra le categorie di genere. Servirebbe un altro elenco. Oppure potremmo cavarcela rubricandolo come Out of Round style. Per oltre un decennio la piccola etichetta californiana ha condotto un vero e proprio talent scouting nell'Altramerica (perlopiù zona San Francisco), dando il prillo a formazioni ovviamente predestinate al semi-anonimato ma ricche di umanità e particolarmente dotate nel riversarla in quella cosa che un tempo si chiamava musica e che ora, ovunque, è un pavido comparto commerciale. Formazioni che sono un po' dei casi, artistici e clinici. Ma prima ancora che gruppi, individui a cui piace cambiar collaboratori a ruota libera, seguendo di volta in volta i crocicchi dell'ispirazione, e guardacaso ti scopri a suonare con una vecchia conoscenza, poi un'altra, e t'accorgi che mettere a battesimo un nuovo gruppo è secondario, l'importante è portare a casa il nuovo progetto. Cani sciolti così. La sensibilità e il gusto dell'etichetta, poi, han sempre fatto tutto il resto, con produzioni fedeli agli intenti degli autori, mai orchestrate dall'alto, e se proprio dev'esserci un segno uniformante, una marca di produzione, ecco che la ritrovi nel packaging, quel cartoncino bruno stampato al torchio, uscito dal seminterrato di una tipografia che ai piani alti s'è convertita al digitale. L'Out of Round, in breve, diventa una (casa-)famiglia allargata. O una factory con l'immaginario imperniato più sulla provincia che sulla metropoli. Poi pian piano alzano la cresta le avversità, gli stringenti bisogni del focolare, la crisi del mercato discografico, la recessione occidentale. Il piccolo produttore non riesce più a sostenere i grandi sforzi delle sue piccole produzioni. L'Out of Round rischia grosso. Brividi. Monta su uno dei veterani che decide di rilevare la scuderia. Patrick Kadyk. Salva la baracca mantenendo tutt'e due le famiglie, la grande e la piccina, col suo lavoro da falegname-all'occorrenza-liutaio. Il cerchio è chiuso, possiamo tirare il sospiro. Forse non troveremo più il cartoncino bruno inchiostrato a manovella per ogni uscita del nuovo corso Out of Round – e in effetti Heaven assomiglia più a un digifile fuori standard – ma la ciccia resta la stessa. La nostra consorella della West Coast continuerà a scovare piccoli fenomeni mantenendo l'abitudine di non scadere nell'hipster. Nè di scalare le Classifiche. Perchè nessuno se ne illuda, va detto che anche coi Ruby Howl siamo di fronte a un fenomeno tagliato fuori dai grandi numeri, che naturalmente se ne fregano che Heaven si avvicini parecchio al cosiddetto disco della maturità. I grandi numeri stanno là fuori. Noi siamo sepolti qui dentro. La Mummia Rara è un'altra famiglia coi soliti vizietti.

www.rubyhowl.com, www.outofroundrecords.com/ruby

Strange World (video): www.youtube.com/watch?v=8TebzfNzIw8


Rare Mummy Music
Una robusta coalizione di elementi impercettibili può ottenere apprezzabili successi. Hahaha. Che stronzata. I piccoli pezzi della Mummia Rara sparsi nei vari continenti – e Ribéss records è uno di questi moncherini – si limitano ad aggregarsi, a divertirsi con una cooperazione equa e aperta, e tutto il resto non gl'interessa. Piccoli si nasce, piccoli si muore ma piccoli si può anche tornare in vita. Come una mummia, ovviamente. Ma piuttosto rara. Quindi se in Italia circola lo stesso un disco straniero che i distributori di professione non si filano manco di striscio, o se t'imbatti in un gruppo che suona senza essere tra i prescelti dalle cricche del booking, allora, forse, dietro c'è il moncherino della Rare Mummy.

Ribéss Dentrofuori
Questa collana è una collezione di prodotti che mettono sottosopra – o meglio dentrofuori – il concetto di catalogo chiuso eccetera. Per saperne di più cerca sotto gli RBS-DF più vecchi o più nuovi. Un po' d'iniziativa, santiddìo!